10 cose che un missionario non ti direbbe mai.

10 cose che un missionario non ti direbbe mai.

Essere un missionario è un lavoro difficile. Tutti lo sanno. Ciò che noi riteniamo siano momenti duri – mancanza di divertimento, rischio di contagiare malattie, e altre cose simili – è solo un accenno alle difficoltà della vera vita missionaria. Spesso sono le cose non dette che in realtà corrodono lo zelo e l’anima del missionario. Ecco qua solo alcune queste cose…

1. 
NON HANNO TEMPO NE’ ENERGIE PER SCRIVERE… MA LO FANNO PER TE.

CIO’ CHE DICONO
Hai letto la mia ultima lettera di preghiera?
CIO’ CHE INTENDONO DIRE
Lettere di preghiera, post sul blog, aggiornamenti del sito – tutti gli “esperti” mi dicono che ho bisogno di mandare notizie fresche in modo regolare, così che tu non ti dimentichi di me. Ma sai che c’è…scrivere è difficile, specialmente per coloro che non sono scrittori nati. Sai cos’altro è difficile? HTML, CSS, PHP, ed un sacco di altra roba tecnologica che si deve imparare solo per rendere decente un sito o una e-mail. Davvero voglio raccontarti come vanno le cose, ma è difficile far uscire avvincenti racconti mentre ho un bambino malato che dorme in braccio. E se devo cercare di codificare un link “mailto”, mi viene da gridare!

2. I “MI PIACE” DI FACEBOOK NON PAGANO I CONTI.
CIO’ CHE DICONO
Grazie infinite per l’incoraggiamento
CIO’ CHE INTENDONO DIRE
Sono felice che ti piaccia il mio status di Facebook. Sono felice davvero. Il punto è che quando dico che abbiamo bisogno di 1.200 € entro la fine della settimana per pagare le tasse scolastiche per dei bambini orfani, sto parlando di Euro veri e necessità vere. Contrariamente a ciò che si dice, Bill Gates non dona un dollaro ad ogni “mi piace”. Questo è compito tuo. Quindi, la prossima volta che ti piace il mio status, prendi in considerazione anche di mandarmi un po’ di contante.

3. CHIEDONO DENARO PERCHE’ NON HANNO ALTRA SCELTA.
CIO’ CHE DICONO
Confido in Dio, Colui che provvede ad ogni cosa e sono davvero grato per i nostri sostenitori.
CIO’ CHE INTENDO NON DIRE
Prima che tu pensi che questo sembri “un po’ lagnoso e da affamati-di-soldi”, è bene tu sappia che io davvero disprezzo chiedere soldi. Da sempre. E ora devo chiederli quasi sempreEd anche quando non li chiedo, penso a come chiederli. Non ci sono mai abbastanza risorse per fare tutto il bene che sto cercando di fare, e vivo con il tormento pensando che quella persona a cui non ho chiesto aiuto in denaro sia proprio quella che avrebbe firmato l’assegno maggiore… se solo gliel’avessi chiesto. Quindi, quando chiedo soldi, sappi che lo faccio con timore e tremore.

4. NON HAI MAI SENTITO PARLARE DEI LORO GIORNI PEGGIORI.
CIO’ CHE DICONO
Per favore prega per me. Ho una settimana con molte prove.
CIO’ CHE INTENDONO DIRE
Le cose qui vanno piuttosto male. Se ti dico ciò che succede per davvero, potresti anche venire a salvarmi, o potresti pensare che io stia esagerando. Se tu sentissi alcune delle cose che ho detto ad alta voce, potresti mettere in discussione il fatto che io sia salvato. Se tu conoscessi alcuni pensieri che alle volte mi frullano in testa, potresti anche  mettere in discussione la mia salute mentale. Qualche volta le buone giornate sono rare, quindi non oso raccontarti le cose peggiori. Se lo facessi, probabilmente mi suggeriresti di gettare la spugna.

5. HANNO BISOGNO DI UNA VACANZA… MA NON TE LO DIRANNO SE LO FANNO.
CIO’ CHE DICONO
Ho bisogno di un periodo di riposo.
CIO’ CHE INTENDONO DIRE
Dopo 2 o 3 anni di duro lavoro, molte persone sentono di aver bisogno di una piccola pausa. Portare la famiglia al mare. Visitare un parco a tema, un parco nazionale, o simili. Bramerei una vacanza, onestamente, però, mi sento in colpa a “viziarmi”, piuttosto che mettere tutto il mio tempo e risorse nel ministero. Soprattutto, so che alcune persone mi giudicherebbero male se la mia vacanza fosse “troppo bella”. Se raggranellassi e risparmiassi persino i centesimi per 5 anni, così da trascorrere una settimana in un’ isola esotica. Certo, non si verrebbe a sapere, perché io non posso tollerare commenti pungenti del tipo  “dev’essere proprio bello” (quelli detti davanti a me), oppure “La mia donazione serve per la tua vacanza” (questo forse lo penseresti, ma non lo diresti ad alta voce – almeno non a me). Quindi, mi tengo tutto dentro tutto, per paura d’essere giudicato.

6. I GRUPPI DA OSPITARE SONO UN INCUBO.
CIO’ CHE DICONO
Sono tanto contento che il vostro gruppo arrivi!
CIO’ CHE INTENDONO DIRE
Che tu sia benedetto. Tu pensi che mi stai facendo un favore. Trenta persone si presentano alla mia porta e si aspettano che si provveda ai trasporti, cibo, ospitalità, visita guidata e una lista di progetti di servizio lunga un chilometro. Tu sei qui per “aiutare”.  Il punto è che nelle altre 51 settimane dell’anno noi programmiamo di fare ciò che è necessario, per riuscire a far del bene qui. Cioè, ad eccezione del tempo che dedichiamo a lavorare sulla logistica del tuo gruppo. Vieni qui per aiutarmi a costruire un recinto, quando posso assumere lavoratori locali per costruire un recinto in molto meno tempo di quanto tu impieghi ad arrivare. Apprezzo il tuo desiderio di aiutare e io sono felice di avere ospiti, ma prendi in considerazione il tipo di aspettative del tuo gruppo prima di organizzare un viaggio. Un gruppo di 3 o 4persone altamente specializzate è molto più utile al nostro ministero che dei turisti “missionari”  schiamazzanti.

7. ANDARE A CASA”  SIGNIFICA UN SACCO DI LAVORO.
CIO’ CHE DICONO
È bellissimo tornare a casa.
CIO’ CHE INTENDONO DIRE
Per favore, cerca di comprendere. Al momento, ho due case. Quando sono in una casa, sono lontano dall’altra, e ci sono un sacco d’emozioni coinvolte in tutto ciò. Innanzi tutto, la mia vita è assolutamente folle quando vado “a casa”. Devo vedere parenti e amici, visitare le chiese sostenitrici, e amministrare carte riguardo ciò che avviene con la mia salute, le mie difficoltà elettroniche e scartoffie amministrative…e tutto questo sia che si tratti di poche settimane, sia di pochi mesi. Passo il mio tempo tra valige ed urgenze da un appuntamento all’altro… è bello essere a casa?Lo è. Ma quando sono sull’aereo per andare nell’altra casa, tiro un sospiro di sollievo poiché la vita torna alla “normalità”.

8. E’ FACILE PER DIO PROCEDERE SUL SEDILE POSTERIORE DELLA LORO VITA.
CIO’ CHE DICONO
Non sono bravo nella cura di me stesso.
CIO’ CHE INTENDONO DIRE
Diciamocelo francamente. Non sono un santo. Non sono più spirituale di quanto lo sia tu. Non inizio la mia giornata con tre ore di meditazione leggendo e pregando. Solitamente appena sveglio mi metto al lavoro. E c’è un sacco di lavoro da fare qui. Infatti, c’è così tanto da fare che è tanto facile passare dal concentrarmi su fare le cose per Dio al perdere lo sguardo su Dio per ciò che Lui è. Nel perseguire la chiamata, alle volte rischio di dimenticare il Chiamante. La mia vita spirituale, qualche volta, è quasi inesistente, eccetto che per sporadici pianti disperati “Dio perchè?”.

9. È DIFFICILE FIDARMI DELLE PERSONE.
CIO’ CHE DICONO
Sto cercando dei colleghi di lavoro strategici.
CIO’ CHE INTENDO DIRE
Ci sono delle brave persone qui, lo sono davvero. Ma qui, nel mio lavoro, ho visto il lato peggiore dell’essere umano – il più delle volte dalle persone con le quali lavoro e di cui mi fido. Gli altri missionari e i pastori possono essere i peggiori, proprio quando pensi di conoscere qualcuno, ti pugnalano alle spalle, di fronte e dai lati. Sono arrivato al punto in cui, semplicemente, non mi fido di nessuno. Sono sempre in guardia, e le cose non cambiano. Mi rifiuto di provarci di nuovo. Se ciò significa che devo fare tutto da solo, allora così sia.

10. SONO SOLI.
CIO’ CHE DICONO
Sto bene – sono solo molto impegnato nel ministero.
CIO’ CHE INTENDONO DIRE
Avendo trascurato la mia relazione con Dio, e avendo rinunciato completamente ad un rapporto con le persone, sono rimasto solo con me stesso. A volte sogno su come la mia vita sarebbe se tornassi alla mia città, alla mia vecchia chiesa e dai miei vecchi amici. Potrei avere un lavoro normale, guadagnare un salario – con spese sanitarie e vacanze pagate. Potrei fare acquisti e cenare in posti normali. Più di tutto, avrei relazioni normali con le persone. Ma qui? Sono completamente solo. Non so se c’è qualcun altro come me qui, e so che se tornassi a casanessuno capirebbe. Voglio sentirmi voluto, invitato ed amato. Voglio che qualcuno si preoccupi di me nella stessa maniera in cui io lo faccio per gli altri.

Sono enormemente grato per i miei amici missionari in tutto il mondo che mi hanno aiutato a compilare questa lista. Se sei un amico, membro della sua famiglia o un missionario, per favore condividi questo con loro e inizia a riflettere seriamente su questa pubblicazione. Adam Mosley Tradotto da (10 THINGS MISSIONARIES WON’T TELL YOU – By Adam Mosley)

VITA DI GESU’/ Il documento che descrive un miracolo raccontato da un testimone oculare

VITA DI GESU’/ Il documento che descrive un miracolo raccontato da un testimone oculare

Secondo Ignazio Perrucci, uno storico ed archivista che lavoro per gli immensi archivi vaticani, con il compito di analizzare e classificare circa 6mila documenti da poco scoperti in quell’archivio, potrebbe trattarsi di un documento eccezionale. Si tratta di uno scritto dello storico dell’antica Roma Marco Velleio Patercolo che conterrebbe la prima testimonianza oculare di un miracolo di Gesù non descritta da uno degli evangelisti, la resurrezione di un bambino nato morto. Patercolo è uno storico romano vissuto all’epoca dell’imperatore Tiberio e morto si presume intorno al 31 dopo Cristo, la cui opera da molti è stata criticata per essere troppo omaggiante nei confronti dello stesso Tiberio.
Proprio poco prima della sua presunta morte, lo storico era tornato da un viaggio in medio oriente che racconta in questo documento. Ma soprattutto quello che ha attirato Perrucci è la descrizione di un evento che ebbe luogo nella città di Sebastia negli attuali territori palestinesi cosiddetti del West Bank.
Patercolo descrive l’arrivo in città di un leader con un gruppo di discepoli e seguaci che fece accorrere sul luogo molti abitanti delle zone vicine. Il nome di costui, come si legge, è Iesous de Nazarenus, la traduzione greco latina del nome ebraico di Gesù, Yeshua haNotzri. Nel racconto si legge che Gesù va a visitare una donna di nome Elisheba che ha messo alla luce un bambino nato morto. Patercolo, che assiste a tutta la scena, dice che Gesù prese il bambino, recitò una preghiera definita “incomprensibile” e riportò quasi immediatamente alla vita il bimbo. Il documento è stato sottoposto  a molti esami e sembra essere proprio del primo secolo dopo Cristo, tra il 20 e il 45 dopo Cristo. Insomma, a parte i vangeli, questa sarebbe la prima documentazione scritta storica da parte di qualcuno che non era un autore dei vangeli stessi, e neppure un ebreo, di un miracolo di Gesù e della sua stessa esistenza.

Ibrida e flessibile, ecco la Bibbia secondo gli italiani

Ibrida e flessibile, ecco la Bibbia secondo gli italiani

Otto su dieci dicono di possederne una copia. Due su tre dicono di averla letta. Tra nuovi media e visioni non dogmatiche i risultati di un’indagine sul Libro dei libri

È un rapporto “singolare” quello fra gli italiani e la Bibbia. Intenso e distaccato, ma anche frequente e intermittente, competente e lacunoso, identificato e lontano, diviso e condiviso: al tempo stesso. Perché la Bibbia costituisce un elemento di comunione e, ancora, distinzione. Dal punto di vista religioso, ma al tempo stesso culturale e sociale.
La ricerca condotta da Demos & Pi (Luigi Ceccarini, Martina Di Pierdomenico e Ludovico Gardani) per conto di Edb, sottolinea questo tratto singolare e, al contempo, ambivalente, della Bibbia. In un Paese dove si legge poco, dove il libro è, ancora, un “bene pregiato”, sicuramente raro, è presente dovunque. In (quasi) tutte le famiglie. In (quasi) tutte le case. Oltre otto persone su dieci affermano di possedere in famiglia (almeno) una copia di questa “piccola biblioteca nata nel corso di un millennio” (per usare le parole di papa Benedetto XVI). Naturalmente, possedere una copia della Bibbia, non significa leggerla, né tantomeno conoscerla. Circa due italiani su tre dicono di averla letta. In misura quasi eguale: in passato ma anche più di recente. Circa sette persone su dieci, cioè, sostengono di averla consultata, letta o, almeno, di averne sentito recitare (oppure citare) una pagina o un verso nell’ultimo anno.

È, dunque, un’opera nota, approcciata di frequente. Come nessun altro libro nella storia personale e sociale degli italiani. Perché nessun altro libro è in grado di marcare, nella stessa misura, l’identità personale e sociale degli italiani – e non solo. La Bibbia, l’Antico e il Nuovo Testamento: costituisce un riferimento comune, “sacro”, per gran parte dei cristiani. E non solo. Per gran parte dei cattolici. E non solo. È questa pluralità di significati che distingue la Bibbia da altri libri. Questa capacità di unire e dividere. La sua forza simbolica, oltre che pratica. Chi crede, i cattolici e i cristiani, l’hanno sentita – e continuano a sentirla – (re)citare nei luoghi di culto. Nelle cerimonie religiose. A messasoprattutto. Ma non solo. Perché i versi e le parole della Bibbia risuonano, con frequenza, sui media. In televisione oppure alla radio. Per questo è un’opera singolare. Perché è pervasiva e, al tempo stesso, specifica. Perché sta sullo sfondo, ma è, comunque, un segno. È dovunque, echeggia dovunque. Ma caratterizza e definisce uno scenario. Il “mondo cattolico”, secondo la larga maggioranza degli italiani. Anche se, lo sappiamo bene, la Bibbia non è patrimonio esclusivo dei cattolici, ma dei cristiani, in generale. E, per quel che riguarda l’Antico Testamento, anche degli ebrei. È, cioè, il Libro, la Biblioteca della civiltà ebraico-cristiana. In senso più ampio: della civiltà occidentale.

Non per caso, circa tre su quattro, fra i non credenti e i non praticanti, ne possiedono una copia. E, tra loro, oltre due su dieci l’hanno letta. La stessa misura di chi, fra i credenti e i praticanti, afferma di non averla letta. Allo stesso modo, l’orientamento politico conta in modo limitato, fra chi possiede e legge la Bibbia. Da destra a sinistra: non si rilevano grandi differenze.

La Bibbia, è, dunque, percepita e utilizzata da gran parte degli italiani in modo, perlopiù, non letterale. Tanto menodogmatico“. D’altronde, il grado di competenza biblica che emerge dalla ricerca è ampio, ma non generalizzato. E riflette, in misura maggiore, il livello di istruzione, di attenzione ai temi della cultura e delle religioni, piuttosto che l’appartenenza ecclesiale. Tuttavia la Bibbia è, al tempo stesso, un testo multimediale, come sottolinea la molteplicità dei canali attraverso cui è comunicato. Dalla messa alla famigliadalla lettura ai mass mediafino a internet (medianteapposite app). D’altronde, i personaggi e le “storie” della Bibbia hanno ispirato la “storia” dell’arte. La pittura, la scultura, la narrazione, la cinematografia: attraverso i secoli.

Per questo, ancora e – tanto più – oggi, è, sicuramente, in grado di essere trasmessa e riproposta attraverso linguaggi diversi. Per lo stile e per la “parola” che la caratterizzano. Come ha sottolineato, con particolare efficacia, il cardinale Gianfranco Ravasi: “Cristo per comunicare ha già usato la televisione e i tweet. Come? Con sceneggiature vere e proprie, tipo quella del figlio prodigo “che fugge, mangia coi porci, se la gode con le prostitute, poi torna”. E con immagini folgoranti, capaci di entrare perfettamente nei canonici 140 caratteri”. Da ciò la “singolarità” e, al tempo stesso, la grande “accessibilità” della Bibbia. È un testo, una somma e un insieme di testi, che si confondono con la realtà sociale e con la vita quotidiana. Ma che – questa è la loro singolarità – definiscono e “specificano” la nostra civiltà.

Così, la Bibbia diventa il marchio di un’appartenenza di fede definita e, al tempo stesso, di una cultura più ampia. A livello territoriale e sociale. Il segno di un’identità “divisa” ma anche “con-divisa”. Per questo è dovunque. Per questo, spesso, sta sullo sfondo, nascosta, quasi invisibile. Ma, talora, appare e riappare. In modo evidente. Soprattutto in questi tempi, per reazione al confronto con altre religioni, “esibite”, anche nel nostro mondo, da persone immigrate, sempre più numerose. Ma, anche per rispondere alla minaccia, forse più insidiosa, prodotta dalla “secolarizzazione”, veicolata dal consumismo globale.

Anche per questa ragione, la dimensione comunicativa, aperta, plurale della “biblioteca biblica” ha largamente superato, oserei dire, assorbito quella religiosa. Il “distintivo cristiano”, per citare una formula cara al filosofo Romano Guardini, è divenuto un distintivo “nazionale”. AnzieuropeoOccidentale. Per marcare il proprio specifico culturale al tempo della “mondializzazione”. Da ciò il carattere universale della Bibbia, sottolineato da questa indagine. Che ne riflette la capacità di innovarsi e di riprodursi di continuo. Da ciò, però, anche un rischio. Anzi, “il” rischio. Che tanta flessibilità, finisca per ridurne la capacità di generare riconoscimento. Che l’eccedenza plastica della Bibbia, che tutti possiedono, tutti frequentano e tutti incontrano, attraverso i media più diversi, al di là di ogni confine di fede e credenza, ne possa ridimensionare, se non neutralizzare, la forza distintiva. Ma la Bibbia, come abbiamo visto, è “geneticamente ibrida”. Condivisa da religioni diverse. Evoluta nel corso del tempo. Così, può costituire un importante veicolo di “comunicazione”. Perché viviamo tempi ibridi, dove è utile, anzi, necessario, diventare ibridi, per affrontare e governare i cambiamenti. A condizione, però, di riuscire a comprendere e a far comprendere chi siamoAgli altri. E a noi stessi. A condizione, dunque, che questa “Bibbia diffusa”, fra gli italiani, non indichi – e riproduca – una religiosità invisibile. Prêt-à-porter. Che crea il nostro “Dio personale”. Ma non può promuovere un territorio comune e comunitario. Né valori universali. Al massimo, una rete di “individui individualisti” e, in fondo, soli.

(Questo articolo è un estratto della prefazione del libro Gli italiani e la Bibbia. Un’indagine di Luigi Ceccarini, Martina Di Pierdomenico e Ludovico Gardani)

Gli italiani e la Bibbia
di Ilvo Diamanti
Edbpagg. 135, euro 10

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